Er giorno che impiccorno Gammardella (1)
io m'ero propio allora accresimato.
Me pare mò, ch'er zàntolo (2) a mercato
4 me pagò un zartapicchio (3) e 'na ciammella. (4)
Mi' padre pijò poi la carrettella, (5)
ma prima vorze gode l'impiccato:
e me teneva in arto inarberato
dicenno: "Va' la forca quant'è bella!"
Tutt'a un tempo (6) ar pazziente maestro Titta (7)
j'appoggiò un carcio in culo, e tata (8) a mene (9)
un schiaffone a la guancia de mandritta.
"Pija," me disse, "e aricordete bene
che sta fine medema ce sta scritta
pe mill'antri che sò mejo de tene".
1. Gammardella: Antonio Camardella. 2. er zàntolo: il padrino. 3. zartapicchio: giocattolo che salta per mezzo di elastici. 4. ciammella: ciambella. 5. carrettella: carrozzella. 6. tutt'a un tempo: nello stesso istante. 7. Mastro Titta: nome di famoso boia di Roma, dato per estensione a tutti i carnefici. 8. tata: papà. 9. mene: me.
1 commento:
splendido!
forse qualcuno ricorderà il modo in cui Monicelli parafrasò questi versi in immagini nel Marchese del Grillo, in cui un roccioso e stranito Alberto Sordi molla una sberla da manuale alla sua giovane amante francese che ride davanti a una decapitazione.
a futura memoria.
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