A drifting life
di Yoshihiro Tatsumi
Drawn&Quarterly
840 pagine
Leggete poco? Non fatevi spaventare dalla mole: queste 800 pagine volano (e non perché ci sia poco da leggere). Ne capite poco di fumetto giapponese? Non c'è problema, io stesso non ne so una mazza e non m'è pesato. Eppure questa autobiografia parla proprio di fumetto e fumettari giapponesi: il resto (cioè quella cosa ingombrante chiamata vita) gravita intorno e ne è direttamente e drammaticamente influenzato. Tranquilli, però: qui non si parla di padri morti, di amici sieropositivi, di vittime di stragi o di madri malate terminali. Qui c'è un signore di nome Yoshihiro Tatsumi (nel libro si è ribattezzato Katsumi) che si è messo al lavoro e ha deciso di raccontarci la sua vita passata al tavolo da disegno, a scazzare con gli editori, a confrontarsi con i colleghi e a creare riviste. Mi ha fatto tornare una voglia di fare gruppo, di fanzinare e di fumettare che spero di tenere a bada. Erano anni che non leggevo una cosa così coinvolgente.
Un solo appunto. Cara Drawn&Quarterly, anzi, caro Adrien Tomine (visto che sei tu a curare i libri di Tatsumi), ma perché rimonti i libri giapponesi per adattarli alla lettura occidentale?
Market day
di James Sturm
Drawn&Quarterly
96 pagine
Sono un fan di Sturm. Mi piace tutto quello che ha fatto finora. Anche quella cosetta in cui riscriveva le origini dei Fantastici Quattro. Questo libro lo volevo proprio leggere, ma poi la pigrizia e altre mille rogne me l'hanno fatto passare di mente. Finalmente ci ho messo le mani e ora eccomi qui che mi lagno. Per carità, una bella storia, disegnata piuttosto bene, scritta e sceneggiata con sapienza... ma è anche vero che è un libro piccolo, con un respiro che vorrebbe essere universale ma che in realtà non lascia grandi tracce. Insomma, un racconto breve che avrebbe fatto una gran figura in una raccolta, ma che da solo lascia trapelare tutte le sue debolezze.
The carrot seed
di Ruth Krauss e Crockett Johnson
Harper Collins
25 pagine
Quando si parla di Johnson, non sono attendibile. Tendo a fare solo lodi sperticate e a insistere sul fatto che questo autore dovrebbe prendersi il posto che gli spetta nella letteratura per l'infanzia anche in Italia e non solo nei paesi anglosassoni. Quando si parla di Johnson non riesco a fare a meno di esprimere giudizi categorici e di osannare il suo totale controllo sul disegno, una precisione che si ritrova solo nei colpi di katana di un samurai.
Insomma, quando si parla di Johnson io non posso dire altro che per me lui è dio e che qualsiasi cosa tocchi prende vita. Forse esagero. O forse l'esagerazione è l'unico modo per rendere omaggio ai giganti.
Qui Johnson illustra un testo della moglie, la scrittrice Ruth Krauss. La storia del libro è semplicissima. Un bimbo pianta un seme di carota e cura la sua terra con amore. I familiari lo prendono in giro: "Non crescerà mai niente". Dopo un po' spunta una carota pazzesca. Ma il bambino non si stupisce. Lui lo aveva sempre saputo che sarebbe finita così.
Ho posato il libro e mi sono commosso come il finocchio che sono.
X'ed Out
Charles Burns
Vintage Books
56 pagine
Quando un artista del calibro di Charles Burns decide di fare un libro, io che sono un lettore fedele mi dico: "Bon, aspettiamo". Quando poi il libro esce, io che sono un compratore abbastanza veloce mi dico: "Bon, compriamo". Quando poi ho finito il libro e per curiosità leggo in giro cosa ne pensa la gente, io che sono un cagacazzo mi dico: "Bon, nessuno c'ha capito niente e nessuno lo vuole ammettere". Una cosa simile m'è successa anni fa.
Quando al cinema uscì Inland Empire di David Lynch, corsi in sala con altri tre amici. Dopo un'ora e mezza i tre stavano ronfando pesantemente. Usciti dal cinema tutti e tre si dichiararono entusiasti del film. Ora, a meno che avessero apprezzato le qualità soporifere di quel polpettone* perché era una settimana che non chiudevano occhio, i miei tre amici stavano mentendo sapendo di mentire.
Non è il caso di X'ed Out. Il libro non è un polpettone, non è soporifero e dire che è una figata non fa di voi delle persone migliori agli occhi del Dio dei Fighi. Il punto è che questo libro riprende tutto il discorso (ECCEZIONALE) sulle reiterazioni iconiche che era il filo rosso di Black Hole (ECCEZIONALE) e lo riduce all'osso portandolo alle estreme conseguenze (MENO ECCEZIONALE). Ora, questo vuol dire che X'ed Out fa cacare? No, vuol solo dire che, come Black Hole, anche questo è un libro a episodi (quanti ne siano previsti non lo so) e che molto probabilmente passeranno due anni prima di vedere il secondo volume. Quando arriverà il seguito, io sarò ancora qui (credo) e sarò sicuramente uno di quelli che lo compreranno. Ma avrò la stessa brama che mi ha intorcinato le budella in attesa di ogni nuovo capitolo di Black Hole? NO. Punto.
* Lo so. Non si può liquidare così Inland Empire. Però posso tranquillamente affermare, senza timore d'essere smentito, che mi sono fatto due palle.
5 commenti:
Sono d'accordo su tutto, tranne che su X'ed Out. Quello è IL CAZZO DI LIBRO DI Burns. Poi ne esce una seconda parte, ma io non ci dormo la notte e Johnny 23 è là che mi chiama.
(Ah... nel rimontaggio di Johnny 23 - che è un libello simmetrico e cutuppante di x'ed out) alcune robe assumono un senso completamente diverso.
(Cmq, la voglia di fare fanzine non deve essere sedata)
Abbraccio
p
cristo! blogspot mi ha dato un errore e il mio commento è andato perso. provo a recuperare a memoria.
allora...
con tutta la fratellanza che ci unisce, proprio non riesco a capire il tuo entusiasmo per x'ed out. intendiamoci, è un bel libro, ma io ho un problema: io non sopporto le storie che parlano di artisti negati, a meno che l'autore non li massacri o non ne ritragga gli aspetti più vitali senza mai coccolarli troppo (come lauzier nel suo diario di un giovane mediocre e nel suo seguito). quando johnny 23 sale sul palco tu vedi uno che è lì "per riempire la sala concerti di rumore e parole". io invece, come fa la cantante dei microbes, gli strapperei il microfono di mano e direi: "okay, okay... that's enough. it's time for some music". in x'ed out burns prende tutto quello che aveva fatto in precedenza e lo riduce alle sue minime componenti, e su questo siamo d'accordo. un po' come aveva fatto in one eye, un libro fotografico nel quale portava all'estremo la sua fissazione per l'interazione/reiterazione iconica. e non a caso one eye è un libro modesto, quasi laboratoriale, eppure evidentemente propedeutico a x'ed out. insomma, se tu mi dici che x'ed out è "il libro" di burns io non ti seguo. per me è solo l'ennesima buona prova di un grande artista. se poi mi dici che x'ed out è la grammatica definitiva di burns, allora ti do ragione. ma questo non vuol dire che sia una ficata assoluta. è come dire che un campionario di colori è meglio di un cezanne perché nel campionario c'è già tutto.
Pasquale, anch’io avrei fatto il tifo per la tipa che strappa il microfono a Johnny 23. E’ giusto così. Nessuno fa il tifo per i personaggi di Burns. Sono animali sociali che attraversano i dolori della crescita e si rivelano incapaci di suscitare simpatia o affetto. El Borbah mica è Marlowe, Big Baby e Dog Boy sono distanti, anche il ragazzo di Black Hole (col quale condivido più di un’ossessione) è un alieno.
Burns è un tecnico impressionante. Nella sua costruzione del racconto nulla è casuale. E la sua tecnica è gelida. Anche Hergé – per fare un esempio – era gelido, ma la presenza di elementi comici e di sottotrame messe là per connettere tutte le storie (vedi un cerotto sulla mano di haddock e inizi a ridere) stemperava la sensazione e con l’occhio seguivi lo scodinzolare di milou.
Burns non si scalda mai. Neanche quando alleggerisce il segno, toglie le campiture a nero e usa i colori (come fa in x’ed out).
Costruisce opere gelide che sono specchi unidimensionali attraverso cui si offre nudo al suo lettore. Quante volte ti capita di avere la sensazione che il fumettista che ti ha regalato un gioiello (magari fatto solo di una bella vignetta o di un omaggio che sei sicuro di aver colto solo tu) non ne fosse consapevole? Continuamente. Con Burns questa cosa non succede mai. E non perché fa la citazione con colpetto di gomito e strizzata d’occhio (“Ciao , lettore, mi chiamo Tizierto Sclarpelli e io e tu siamo così fichi che sghignazziamo guardando questo disegno che è nella stessa posizione della locandina di quel film che quando è uscito non l’ha visto nessuno ma poi se lo sono guardati tutti… Quanto siamo fichi io e tu, vero?”) Nei fumetti di Burns c’è così tanto lavoro che SAI che tutto quello che ci hai letto lui ce l’aveva messo.
Se in quella ferita hai visto una figa è perché lui ce l’ha disegnata. Se quel dolore ti è sembrato tale è perché era l’essenza nuda di quel dolore rappresentata a costo di grande fatica. Il calore dei segni rotondi che molti autori cercano (“ripasso in fretta con un pennello morbido per non perdere il calore del bozzetto”) non appartiene a Burns. Sai che ha disegnato decine di volte ogni quadretto, buttando via tantissimo e rilavorando come nessun altro.
Che tutto questo lavorio mi spalanchi una finestra sulla sua vita, sulle sue ossessioni, su una storia che ha sempre diversi piani di lettura, mi lascia esterrefatto.
E in questo libro lo ha fatto più che in tutti i precedenti. Un altro passo avanti.
Cazzo! Mi è venuto un commento più lungo del tuo post. Se ti viene voglia di strapparmi il microfono ti capisco
be'.
più che del libro hai parlato di burns. a quanto pare in questo caso secondo te le due cose coincidono pienamente (e non ti do nemmeno torto).
montanelli nei suoi diari scriveva una cosa divertente. quando gli toccava recensire un libro di un amico (ed erano tanti, come puoi immaginare) diceva: "se il libro è bello parlerò del libro, se è brutto parlerò dell'autore".
ora, ripeto, non è il caso di x'ed out perché secondo me non è affatto un brutto libro. tu in effetti a quest'opera chiedevi un'approfondita sbirciata nella testa di burns, io chiedevo una bella lettura. tu sei rimasto (a ragione) più che soddisfatto, io (altrettanto a ragione) non mi sono entusiasmato.
detto questo, toglierti il microfono? mai1 anzi, se lo vuoi, te lo ripasso volentieri.
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