Alcune impressioni uscite dai centosessanta minuti del Grande silenzio, film-documentario del regista tedesco Philip Gröning, girato in pochi mesi (ma attendendo sedici anni una lettera che diceva semplicemente Ora siamo pronti) nel monastero de La Grande Chartreuse, sulle Alpi francesi vicino a Grenoble.
La storia è circolare, comincia e finisce con un'immagine: un'infinità di fiocchi di neve riempiono il cielo grigio. Tutto quel che accade è poco: la cerimonia di iniziazione di due novizi; lo svolgimento rituale dei lavori; lo studio, la preghiera; la metamorfosi della natura all'arrivo della primavera; una passeggiata scambiando finalmente qualche parola; giochi sulla neve, ridendo.
Non c'è set né attori, non c'è finzione. Lo scenario è quello originale della Certosa, nulla è stato modificato, nemmeno sono state poste luci di scena. I monaci sono davvero monaci, i due novizi che vediamo nella cerimonia davvero cominciano un cammino radicale di vita.
Il silenzio imposto dalla regola monastica trasforma la percezione delle immagini. Non possiamo non concentrarci sulla luce. Sembrano le stanze altrettanto silenziose dipinte da Jan Vermeer. Parla la luce entrando come un fascio da una finestra, attraversando la trasparenza di un bicchiere, facendosi attraversare dalla polvere, pulsando dalla fiamma di una candela...
Viene in mente la parola "creaturale". Qualcosa che scaturisce per la prima volta. Vista prima che qualsiasi esperienza abbia strutturato la percezione. Pare che i Certosini stiano lì a custodire questa creaturalità, mantenendola nei secoli tenera e fragile, sacrificandosi, diventando loro al posto suo duri e rigidi.
I monaci vivono consapevolmente ogni gesto quotidiano come "segno". Nei brevi dialoghi durante la gita settimanale appena fuori dalla Certosa le parole più semplici sono potenti, risuonano di significati, allegorie. Noi non siamo abituati a parole che sprofondano verticalmente nel senso. Le nostre parole si sviluppano di solito orizzontalmente per raccontare e raccontare eventi.
I monaci durante la vita nella certosa "camminano" verso la divinità. In qualche modo la loro sostanza cambia avvicinandosi al limite. Raggiungere il limite infinito trasforma in gioia.
Il film impegna lo spettatore, è interminabile, il ritmo lentissimo. La bellezza assoluta delle immagini è ripetitiva. Eppure tutto è perfetto. Si viene coinvolti nello stesso atteggiamento di apertura all'Altro che Pier Vittorio Tondelli confessava in una brevissima autobiografia: incontrò tante persone e ognuna riuscì a parlare alla sua immaginazione.
(Scena del silenzio è il titolo della prima parte degli Esordi di Antonio Moresco in cui si racconta di un seminarista. La coppia opposta tenero e fragile - duro e rigido viene dal decimo dei Biglietti agli amici di Pier Vittorio Tondelli. L'ultima citazione, sempre sua, è nel pezzo Quel ragazzo... pubblicato in Un weekend postmoderno.)
Non c'è set né attori, non c'è finzione. Lo scenario è quello originale della Certosa, nulla è stato modificato, nemmeno sono state poste luci di scena. I monaci sono davvero monaci, i due novizi che vediamo nella cerimonia davvero cominciano un cammino radicale di vita.
Il silenzio imposto dalla regola monastica trasforma la percezione delle immagini. Non possiamo non concentrarci sulla luce. Sembrano le stanze altrettanto silenziose dipinte da Jan Vermeer. Parla la luce entrando come un fascio da una finestra, attraversando la trasparenza di un bicchiere, facendosi attraversare dalla polvere, pulsando dalla fiamma di una candela...
Viene in mente la parola "creaturale". Qualcosa che scaturisce per la prima volta. Vista prima che qualsiasi esperienza abbia strutturato la percezione. Pare che i Certosini stiano lì a custodire questa creaturalità, mantenendola nei secoli tenera e fragile, sacrificandosi, diventando loro al posto suo duri e rigidi.
I monaci vivono consapevolmente ogni gesto quotidiano come "segno". Nei brevi dialoghi durante la gita settimanale appena fuori dalla Certosa le parole più semplici sono potenti, risuonano di significati, allegorie. Noi non siamo abituati a parole che sprofondano verticalmente nel senso. Le nostre parole si sviluppano di solito orizzontalmente per raccontare e raccontare eventi.
I monaci durante la vita nella certosa "camminano" verso la divinità. In qualche modo la loro sostanza cambia avvicinandosi al limite. Raggiungere il limite infinito trasforma in gioia.
Il film impegna lo spettatore, è interminabile, il ritmo lentissimo. La bellezza assoluta delle immagini è ripetitiva. Eppure tutto è perfetto. Si viene coinvolti nello stesso atteggiamento di apertura all'Altro che Pier Vittorio Tondelli confessava in una brevissima autobiografia: incontrò tante persone e ognuna riuscì a parlare alla sua immaginazione.
(Scena del silenzio è il titolo della prima parte degli Esordi di Antonio Moresco in cui si racconta di un seminarista. La coppia opposta tenero e fragile - duro e rigido viene dal decimo dei Biglietti agli amici di Pier Vittorio Tondelli. L'ultima citazione, sempre sua, è nel pezzo Quel ragazzo... pubblicato in Un weekend postmoderno.)
8 commenti:
Scusate Blogspot non carica le foto, almeno non a me, quindi ho fatto come si poteva sbobinando l'html. Ma il testo non riesco a metterglielo attorno.
ecco fatto! una mano invisibile e operosa ha rimesso tutto a posto. bel post.
e bentornato.
ciao!
Uhm, quando rileggo quello che posto non mi piace mai...
Sei grandioso, hai anche messo dei link. E' esattamente come lo volevo: sembra quelle favole dove c'è un disgraziato che va a dormire e la mattina seguente qualche entità misteriosa (gnomi, fate ecc...) gli fa trovare tutto pronto nel migliore dei modi :-)
troppa grazia!
saluti dal mondo delle fiabe
:-)
Se posso fare una osservazione:
troppe smancerie in questo blog.
"Ma come sei gentile", "prego, prima tu, sei migliore di me", "ma non mi permetterei mai", "gentilissimO"....
Un po' piu' rudi, vi preferirei.
Cio' detto, "IL GRANDE SILENZIO" ha definitivamente chiarito la distanza abissale tra la mia visione di una vita sensata e il monachesimo: privarsi volontariamente della vita.
Mi si potra' dire che anche legati in uno sgabuzzino mangiando cibo per cani si puo' vivere una vita degna: prego, accomodatevi, non so se vi seguiro'.
Piu' in generale, ho delle perplessita' filosofiche circa la fuga dal mondo, che pure mi attrae emotivamente, ma perche' fuggire anche dalle cose belle?
poi, certo, sono molto aiutato dalla profonda fede nell'esistenza di Dio che mi corrobora.
Bah!
Il film, interessante esperimento, era davvero troppo lungo. E quindi pesante e noioso. Non perche' esista una durata massima per un film ma perche' quando le cose tendono immotivatamente a diventare ripetitive e non essenziali, qulche taglietto in piu' tende a diventare necessario.
Ieri sera Te Addiction, Abel Ferrara. Da vedere. esempio di come si possa fare un film anticonformista e fuori dagli schemi, forte, emotivamente intenso e povero in termini di costi.
Bravo Ferrara e il suo sceneggiatore.
Elvio Foodtock.
Elvio,
..il perditore di lettere, qui e la...
the addiction è un bel film. comunque abbisogna di tagli come il grande silenzio (mi fido del tuo parere perché non ho visto il film di groning): tende al verboso - laddove il grande silenzio, immagino, tende al mutismo - e al troppo da vedere (orge vampiresche e lampi di filamti d'archivio su lager e gulag vari) - laddove il grande silenzio eccederà in loop esistenziali routinari.
sono due film radicalmente diversi e non mi pare ci siano elementi per metterli a confronto.
piuttosto - se proprio vuoi un parallelo monastico - guardati, sempre di ferrara, l'angelo della vendetta. scherzo. c'è solo una scena - storica - in abiti da suora.
ciao!
pasquale "i love movies" la forgia
Elvio chiede più rudezza e ha ragione.
Cavron maron disseccato di un Elvio! se tagli il film trasformi la forma di vita dei certosini nella forma di vita tua. Quindi, o ti adatti a trovare una zona della tua immaginazione che si accende per la vita di quei tizi, o lasci il film com'è e esci dalla sala. La ripetizione, la lentezza, la ritualià fanno parte della loro vita così come i movimenti interiori, le spinte e controspinte che vedi testimoniate nel film dalle citazioni bibliche. Guarda io sono d'accordo che te e me non faremo mai i certosini, ma quel film è l'occasione per capirci qualcosa. Così com'è.
andrea barbieri
Posta un commento