23 gennaio, 2007

Forzare la mano (degli altri)

Ancora lui? Sì, ancora lui. Quale migliore occasione di tornare alle Lettere luterane, se non questa foto trovata per caso: Pasolini insieme a un Mastroianni ossigenato sul set de La decima vittima, storia di un futuro in cui la violenza è regolamentata da un gioco a premi che incanala e governa le pulsioni sanguinarie dell'uomo.
Questo scatto riesce a condensare tre delle mie (non troppo) recenti fissazioni: Pasolini, la riflessione sulla violenza e il cinema - enorme quanto dimenticato - di Elio Petri.
Provo a spiegarvi come ho intrecciato queste tre matrici.
Premesso che non esistono "percorsi di lettura" - poiché percorso non è altro che il nome che diamo al nostro casino mentale quando cerchiamo di raccontarlo a qualcuno -, è pur vero che fra film, libri e varie amenità si possono stabilire personalissimi e opinabili trait d'union. Ed è ancor più vero che io questi opinabili trait d'union li forzo non poco.
Questa volta, per esempio, m'è capitato di riprendere le Lettere luterane e di ritrovarvi il passo che segue:

Perché allora sia il Psi che il Pci sospendono ogni forma, sia pur timida, di interpretazione dell'Insieme, adeguandosi anch'essi alla regola prima cui si attengono tutti gli osservatori politici italiani, di ogni classe e partito, la regola cioè di intervenire solo fenomeno per fenomeno?

Provo a fare un gioco. Mi approprio brutalmente e senza alcun rigore di questa citazione, la decontestualizzo e la rimetto a nuovo. Innanzitutto ignoro i datati "Psi" e "Pci", poi estendo lo spettro della riflessione pasoliniana (qui incentrata sul malgoverno Dc) al campo a me più caro del trattamento che i media riservano alla violenza. Ne viene fuori questo interrogativo:

Perché sospendiamo ogni forma, sia pur timida, di interpretazione dell'Insieme, adeguandoci alla regola prima cui si attiene tutta l'opinione pubblica italiana, di ogni classe e partito, la regola cioè di intervenire solo fenomeno per fenomeno?

D'accordo, si tratta di un mostro critico, di un'operazione à la Frankenstein, ma quel che conta è la sostanza. Ossia, quello che un tempo era raggio d'azione della politica e della sociologia, oggi è stato appaltato alla cronaca. Se un tempo, grazie a onniscenti furori ideologici, si pensava di poter guardare all'Insieme delle cose, oggi ci si è persi in un'opera di compulsiva parcellizzazione che ha trasformato il tutto in una nebulosa di isolati fenomeni. E' come dire che ogni aspetto della vita (l'economia, la sessualità, la violenza, la produzione, il sogno...) non può più essere affrontato in blocco. Non solo non c'è più un riferimento (e su questo il postmoderno ha detto fin troppo), ma al tempo stesso s'è persa la dimensione stessa dell'Insieme, ragion per cui quello che doveva essere campo d'indagine della politica, della sociologia, della medicina... oggi è sistematicamente delegato alla cronaca. Col risultato che nella percezione comune non esiste più la violenza come elemento fondante e connaturato all'umanità, ma esiste solo la violenza raccontata dai giornali, e cioè una violenza episodica, come un momento di rottura, un fattore di disturbo, un'increspatura, un inspiegabile inceppamento di un meccanismo altrimenti perfetto.
E ogni volta al telegiornale sentiremo i compaesani delle vittime dire:
"Deve essere stato un forestiero... in paese una cosa così non ce la spieghiamo... non s'era mai vista una cosa così...".
E ancora i giornali continueranno a titolare:
"Assurdo a Ladispoli".


Ps: cosa c'entra il cinema di Pietri? Andatevi a vedere La decima vittima o procuratevi L'assassino. Magari mi direte che non c'entrano nulla, ma almeno avrete visto due film indispensabili.


(Foto 1: Pasolini e Mastroianni sul set de La decima vittima, Tazio Secchiaroli)
(Foto 2: Ursula Andress in una scena de La decima vittima)

12 commenti:

Roberto La Forgia ha detto...

i fatti di cronaca sono sempre letti come assurdità e, da quel che mi sembra di capire ascoltando i commenti della gente, c'è un gran bisogno di questa percezione.
"assurdizzare" un atto violento aiuta molti a sentirsi normali.
ma è proprio l'esistenza di questi fenomeni (ogni giorno uno nuovo sul giornale dei tanti che accadono) a dirci quanto in realtà non ci sia nulla di assurdo.
possiamo non condivire la cosa moralmente e perchè no, anche emotivamente (per chi ha un cuore che pulsa) ma escluderla dal gioco umano, dal normale, dal non-assurdo anzichè superarla non ci aiuta a metterci in contatto col problema.
chi definisce assurda la violenza non si è mai posto domande su questa. solo risposte. tra cui la più banale (perchè vera, verissima ma inutile) secondo cui la violenza è sbagliata.

e 'sti cazzi...

pasquale la forgia ha detto...

caro fratello mio,
noi abbiamo il vantaggio di capirci al volo perché di queste cose parliamo anche nel sonno.
cogli un aspetto che in effetti ho sostanzialmente trascurato nel post. e cioè il fatto che questo considerare "assurdo" ogni singolo fenomeno di violenza, è solo un blando placebo che ci consente di uscire di casa senza sospettare che il nostro vicino ci pianti un coltello nella schiena.
è vero, il rischio è che accettare la "naturalezza" della violenza comporti una reazione paranoide o una riscoperta di istinti animali di sopravvivenza. mentre il considerarla assurda ci consente di tenerla fuori dal mondo, lontatana dalle nostre vite. la violenza è il cugino di campagna, quello scemo e con le scarpe sporche, che una volta all'anno ci entra in salotto smerdando il tappeto.

pasquale "cugino di campagna" la forgia

Anonimo ha detto...

Vediamo se ho capito. Allora, tu dici:
Perché nella sua valutazione, un avvenimento (di violenza) non lo si
analizza nell'insieme delle sue connotazioni antropologiche, sociali e
mediche, ma lo si vive sempre come (assurda incomprensibile) eccezione
alla perfezione?

Perché si affronta il fenomeno come se fosse sempre isolato? Perché si
abusa della categoria dell'eccezoionle senza cercare di leggere
l'insieme delle cose ed i loro legami?

Ecco, dunque se ho ben capito, cerco anche di rispondere, in maniera
molto banale.

Primo: l'informazione (giornali, telegiornali) andrebbe ripensata, ma
io personalmente non so farlo.
Secondo: l'analisi fa paura perchè porterebbe a conclusioni poco
piacevoli per tutti.
Terzo: Anche giungere a conclusioni poco piacevoli non cambierebbe le
cose, perchè nella guerra delle informazioni succede che: pubblicità,
cronaca film playstation e filosofia giocano ad armi pari, se la giocano sulla quantità, quindi l'intelligenza PERDE NECESSARIAMENTE, perché è quantitativamente debole.
Spero fortemente di sbagliarmi, ma temo che la questione identitaria
(cioé la quantità di segni che determinano la mia identità) si giochi a livello quantitativo. Vince la squadra che ha piu' segni. Quindi una contestazione si attiva quando i segni di malessere superano quantitativamente le stronzate.
Insomma si va al chilo.

pasquale la forgia ha detto...

@ alessandro:
hai capito più che bene, per quanto mi riguarda. una sola annotazione. tu scrivi:

"nella guerra delle informazioni succede che: pubblicità, cronaca film playstation e filosofia giocano ad armi pari, se la giocano sulla quantità, quindi l'intelligenza PERDE NECESSARIAMENTE, perché è quantitativamente debole".

è qui che non mi tornano i conti. nessuno gioca ad armi pari. è la cronaca e il suo dopo-cronaca mascherato da analisi (vedi Vespa e il suo Porta a Porta) che la vincono su tutti grazie al loro poderoso arsenale.
non credi?

aletota ha detto...

In effetti mi sono espresso male, armi pari intendo questo:
non esiste differenza qualitativa. Tra Sartre e Vespa, puo' sembrare assurdo ma non c'é differenza, se non presupponi che ci sia.
Cioé se la gente è convinta che Vespa esiste, egli esiste ed ha lo stesso peso di Sartre (ecco appunto l"arma pari", che ho mal espresso prima).
Dunque conta solo la quantità.
Armi pari il cavolo, in effetti, siamo a cerbottane contro bombe all'idrogeno.

Datemi un martello…

Anonimo ha detto...

caro Pasquale,
abbiamo dovuto rileggere il post diverse volte, prima di risalire ai punti che non condividiamo (scrivo per me e mb) nella tua riflessione.
Ma prima notiamo con piacere che alcuni tuoi discorsi non si sono interrotti nel tempo.

La decontestualizzazione / ricontestualizzazione è lecita nel momento in cui la dichiari, non c'è nessun "monstre" critico nell'operazione. Meno ovvio ci pare ciò che scrivi in seguito, frutto forse più di assunzioni opinabili che di effettivi nessi causali. Non credi sia improprio scrivere: quello che un tempo era raggio d'azione della politica e della sociologia, oggi è stato appaltato alla cronaca? A quale tempo ti riferisci? Presumo ad un periodo in cui l'ideologizzazione coatta dei fenomeni soggiogava il pensiero, di qualunque genere, ma è davvero la cronaca ad aver sostituito oggi il pensiero nella sua interezza?

Ed è interamente compito dell'informazione quello di dover guardare alla sostanza dei fenomeni? Magari sì, ma entro quali limiti?

In seguito affronti il tema della violenza, dichiarando che se la stessa era un tempo (di nuovo) elemento fondante e connaturato all'umanità, oggi ne sopravvive solo il carattere episodico, la condizione di disturbo, di rumore, l'inceppamento di un meccanismo. Ma l'impossibilità di riconoscere un tutto, la perdita della dimensione dell'insieme, non nega il concetto stesso di meccanismo? E come può allora la violenza provocare l'inceppamento di un meccanismo che non è? Anche questo, lo ammetto, appare un sofismo ugualmente opinabile, ma in tal modo conferma la natura opinabile delle affermazioni su cui si basa e che tenta di confutare.

pasquale la forgia ha detto...

cari fosco e mb,
innanzitutto vi ringrazio per aver dedicato tanta attenzione a questo post. e ora passiamo subito alla sostanza.per chiarezza, cito fra virgolette le vostre obiezioni punto per punto:

"Non credi sia improprio scrivere: quello che un tempo era raggio d'azione della politica e della sociologia, oggi è stato appaltato alla cronaca? A quale tempo ti riferisci? Presumo ad un periodo in cui l'ideologizzazione coatta dei fenomeni soggiogava il pensiero, di qualunque genere."

mi rendo conto che quell'"un tempo" è un'aperta ammissione di impotenza analitica. in effetti non vuol dir nulla. per completezza avrei dovuto chiarire che innanzitutto delle parole andrebbe sempre assunto il valore assoluto: quindi dietro a "un tempo" non c'è nostalgia o rimpianto, c'è solo la constatazione che di fatto l'uomo ha creato dei sistemi di pensiero che hanno provato a spiegare tutto. sistemi fallimentari, riduzionisti, soggioganti, che però hanno avuto il pregio di affrontare l'insieme delle cose, senza preventivamente smontarlo in comodi pezzettini (e di qui la “fenomenizzazione” di tutto quel che capita). rinnegare in pieno l'età delle ideologie vuol dire buttare il bambino insieme all'acqua sporca.

"ma è davvero la cronaca ad aver sostituito oggi il pensiero nella sua interezza?"

non mi sembra d'aver detto che la cronaca ha sostituito il pensiero. bensì che la cronaca lo rende pressoché impraticabile. la parcellizzazione del reale in "eventi", "episodi" eccetera rende il pensiero a sua volta "eventuale" ed "episodico", cioè aleatorio nella sostanza e nell'occorrenza.

"Ed è interamente compito dell'informazione quello di dover guardare alla sostanza dei fenomeni? Magari sì, ma entro quali limiti?"

assolutamente no. non parlo di informazione, preferisco usare il concetto assai più pragmatico di "cronaca", che per sua stessa natura schiva la sostanza a costo di rinnegarla, allo scopo di piegarla alla formula di comunicazione più efficace. consiglio a proprosito questo film.

"In seguito affronti il tema della violenza, dichiarando che se la stessa era un tempo (di nuovo) elemento fondante e connaturato all'umanità, oggi ne sopravvive solo il carattere episodico, la condizione di disturbo, di rumore, l'inceppamento di un meccanismo."

ancora lui: "un tempo". solo che stavolta lo usate voi. io ho solo detto che "nella percezione comune non esiste più la violenza come elemento fondante e connaturato all'umanità". mi sembra tutt'altra cosa. vi sottolineo quel nella percezione comune che salva capre e cavoli.

"Ma l'impossibilità di riconoscere un tutto, la perdita della dimensione dell'insieme, non nega il concetto stesso di meccanismo? E come può allora la violenza provocare l'inceppamento di un meccanismo che non è?"

è vero. lo spirito occidentale ha un comportamento ambivalente. se nella sua dimensione accademica dichiara l'Insieme clinicamente morto, nelle sue applicazioni cronachistiche lo resuscita come espediente retorico. ed è proprio quest'ultima l'accezione alla base di quel mio passo.

spero d'essere riuscito a rispondervi. anche se in realtà tutto questo mio pistolotto serviva da cappello alla seguente chiusa.
siccome mi avete beccato su due orrendi "un tempo" (uno effettivo, l'altro meno), mi vedo costretto a sparare una riflessione a cui sono molto affezionato, e cioè che - come dice kurt vonnegut - i bei vecchi tempi non sono mai esisititi.

ciao,
pasquale "good ol' times" la forgia

Anonimo ha detto...

pare serio...!
domani rileggo.
però posso già dire con assoluta sicurezza che vespa non potrà mai esse uguale a sartre!
mai
MAI!

santamaiepoimai

Anonimo ha detto...

bene, pasq. rigiro ulteriormente il coltello nella piaga del commentario, visto che hai opportunamente scritto un nuovo post... ;)

(detto per inciso, stiamo seguendo alla lettera i tuoi suggerimenti cinematografici, abbiamo da poco visto todo modo, e nel caso volessi aprire un dibattito all'ultimo sangue, siamo qui ;)

bella risposta, in generale: condividiamo evidentemente la stessa opinione sui fantomatici "bei tempi andati".

Rimango tuttavia ancora scettico proprio sulle conseguenze della frase: "nella percezione comune non esiste più la violenza come elemento fondante e connaturato all'umanità". E' mia opinione che la vicenda umana sia rintracciabile nella progressiva negazione dell'istinto primigenio - animalesco e violento - e nel costante aumento della complessità della nostra specie. Quindi non vedo ragione, risalendo alla sostanza, per rimpiangere un ipotetico tempo in cui veniva ricosciuto nella violenza un elemento fondante, a prescindere dall'autopsia che la cronaca compie attualmente su tale elemento. Ammesso poi che questo "tempo" sia terminato del tutto, cosa che l'attuale contesto geografico e storico sembra negare.
fosco "ora smetto" lucarelli

pasquale la forgia ha detto...

caro fosco,
rigira pure, ci mancherebbe! sai bene che a me questi scambi fanno solo piacere. per todo modo e il cinema di petri in generale, rimandiamo a un'altra volta. per ora mi limito alla tua risposta.
parto da questa tua considerazione:

"E' mia opinione che la vicenda umana sia rintracciabile nella progressiva negazione dell'istinto primigenio - animalesco e violento - e nel costante aumento della complessità della nostra specie".

ecco, io questa opinione non la condivido affatto. l'idea che la vicenda umana sia fondata su un progressivo allontanamento dall'istintività primigenia la vedo come una bella speranza positivista, una moneta che in tutta onestà non mi pare abbia più corso. inoltre non credo che "il costante aumento della complessità della nostra specie" neghi cittadinanza all'animalità (questa distinzione uomo senziente/uomo morale/uomo animale la lascio ai naturalisti bioetici). l'instinto - e non parlo solo della violenza - è quanto di più complesso mi riesca di immaginare.

"non vedo ragione, risalendo alla sostanza, per rimpiangere un ipotetico tempo in cui veniva ricosciuto nella violenza un elemento fondante."

no. evidentemente non mi sono spiegato bene. io non rimpiango l'epoca (mai esistita) del buon selvaggio. dico solo che quando non esisteva alcuna prossimità fra la popolazione e la koiné intellettuale (ossia quando di fatto non esisteva o non veniva registrata l'opinione pubblica), la violenza era un elemento fondante della vita di ogni giorno. oggi, poché tutto deve essere raccontato e trasmesso per essere passato al vaglio dell'opinione pubblica, la violenza viene smontata e sminuzzata in "episodi", "eventi", "pasticciacci brutti"... non è la violenza ad essere cambiata (il sangue è sempre rosso, anzi nero, come dice panelli ne l'assassino di petri), ma il racconto che se ne fa. ed è questo a preoccuparmi.

ciao,
pasquale "what/how" la forgia

Anonimo ha detto...

credo tu abbia ragione sull'obiezione che fai alla mia "opinione": probabilmente, sintetizzata in questi termini, di questa rimane un ottimismo quasi imbarazzante. Ci ripenserò su. E sull'istinto, poiché forse è eccessivo liquidarlo in un commento, o perché non ne ho proprio la competenza, ti risparmio un'altra mia "opinione".
E' stato un buon dibattito, comunque, alla fine ho capito dove volessi arrivare. ciao

fosco

pasquale la forgia ha detto...

@ fosco:
grazie a te. davvero.
ciao,
pasquale

anzi, visto che siamo amici,
ciao,
ale
(mi chiamano così dalla prima poppata)