02 aprile, 2007

Il dizionario del Diavolo - 1

Riprendo un concetto con il quale vi ho stufato oltre misura, quello di Violenza. Così lo definisce Wikipedia.

Violenza: Azione fisica o psichica esercitata da una persona su un'altra al fine di indurla a compiere atti che altrimenti non avrebbe compiuto. Le discipline accademiche che si occupano del fenomeno della violenza sono la psicologia, la sociologia, le scienze politiche e la giurisprudenza. L'approccio al fenomeno varia a seconda della disciplina. [...] Dal punto di vista politologico viene identificato il monopolio della violenza come proprietà esclusiva dell'autorità statale. L'unica eccezione è la legittima difesa, che però va valutata e riconosciuta analizzando l'atto caso per caso, in sistemi dove esiste una divisione dei poteri, un tribunale o per lo meno un esecutivo. Contrapposto a ciò vi è lo stato di natura in cui la violenza non è prerogativa di un singolo attore. Pertanto lo stato moderno può essere percepito come la razionalizzazione degli istinti e con esso della violenza all'interno della società.
(fonte Wikipedia)

Non ho interpellato Wikipedia perché la considero l'oracolo di Delfi, ma perché se provate a fare il punto sul concetto di violenza, questo è sostanzialmente il quadro che vi si para davanti. E del resto si tratta di una definizione neutra, in massima parte condivisibile, come è sacrosanto che sia la voce di un'enciclopedia.
Ma vengo al punto: su un argomento così scottante (che su questo blog abbiamo già affrontato mille volte, applicandolo anche a sfere delicatissime come l'infanzia e la formazione) ci sarebbe da marcare una profonda lacuna educativa. Per farla breve: se è vero che la violenza è un concetto e una pratica epidermicamente aberrante, è pur vero che non ci si può limitare a definirne il significato, senza rilevare quanto e quale spazio d'azione abbia nella nostra vita di cittadini (concetto che mi è più caro di quello fumosissimo di "individui").
Torniamo alla definizione di Wikipedia, in particolare ai punti in cui si sancisce il rapporto diretto fra Stato e coercizione: "
Dal punto di vista politologico viene identificato il monopolio della violenza come proprietà esclusiva dell'autorità statale. [...] Pertanto lo stato moderno può essere percepito come la razionalizzazione degli istinti e con esso della violenza all'interno della società".
Niente da eccepire, se non che questo concetto non è di fatto presente nella percezione comune, né nell'opinione pubblica del nostro Paese, ancorata al fuorviante precetto costituzionale del ripudio della guerra.
Siamo nati e cresciuti in democrazia: una democrazia imperfetta, se vogliamo, di contenimento, per alcuni figlia di due rivoluzioni tradite (il Risorgimento prima, la Resistenza dopo) e via dicendo, ma pur sempre democrazia. In questo tipo di regime abbiamo imparato che Violenza è una parola dotata di un proprio valore assoluto, un valore - inutile dirlo - negativo. Questo perché la retorica liberale non è mai stata davvero in grado di ammettere e soprattutto rimarcare che nessuna società può operare senza il ricorso alla violenza e alla sua figlia in divisa: la repressione. In questo modo il concetto stesso di violenza è stato depennato dal vocabolario della democrazia, portandolo fuori dal solco della regola e della giusta misura, facendone patrimonio esclusivo delle organizzazioni malavitose o terroristiche, se non di domestiche derive sanguinarie.
Inevitabile conseguenza di questa falla educativa è che oggi il concetto di violenza torna ad avere cittadinanza nell’arena mediatica solo se sotto mentite spoglie, solo se indorato da grandi dosi di melassa ideologica: “la guerra al terrorismo”, “l’esportazione della democrazia”, “la guerra agli infedeli”… tutto purché non si pensi all’uso regolamentato degli strumenti di coercizione come a una pratica quotidiana e umanissima, destinata ad affrontare urgenze immediate, ma come allo spiacevole quanto necessario mezzo per raggiungere obiettivi superiori, sublimi al punto da giustificare ogni nefandezza.
Non credete anche voi che sia mortalmente stupido?

(Immagine 1: Charles Burns)
(Immagine 2: Peter Kuper)
(Immagine 3: Roland Topor)

24 commenti:

Anonimo ha detto...

ti ricordi quando ti ho obbligato ad alzarti per andare a fare colazione giù di sotto, dalle parti der colosseo???
atto che tu altrimenti non avresti compiuto.
può essere considerata violenza, quella?

un'amica a caso

pasquale la forgia ha detto...

Breve chiarimento
Il titolo del post è rubato a quel genio di Ambrose Bierce, autore del Dizionario del Diavolo. Qui lo trovate in edizione italiana. Qui potete scaricarne la versione originale in inglese.

Buona lettura,
Pasquale "for advanced readers" La Forgia

pasquale la forgia ha detto...

@ amica a caso:
no. direi che quella fu più circonvenzione di incapace.

Anonimo ha detto...

quindi tu, in quando individuo "nello Stato" fai boxe per sovvertire lo Stato stesso dall'interno???
ho capito! ti mancava solo lo strumento! adesso ce l'hai!!

ma sei un killer oppure un ex junior editor?? oppure è la stessa cosa!?


davide"jab/diretto/gancio"mengacci
vs
pasquale"fire on talebans"la forgia

matteo bergamelli ha detto...

Forse può interessarti (se non lo conosci già):
"Come un'onda che sale e che scende"
William T. Vollmann
Mondadori

Tu pensi che non ci sia possibilità di gestire la violenza o che non è giusto gestirla?
Poi forse bisogna intendersi meglio su "quale" violenza.

pasquale la forgia ha detto...

caro frans,
conosco il testo di vollmann (che in italia arriva in una seconda versione decisamente accorciata, visto che in origine era questa cosa qui).
io penso che ci sia eccome una possibilità di gestire la violenza su larga scala, non di controllarne le manifestazioni private o legate a interessi criminali, ovviamente. ma il punto della mia osservazione è precedente alla tua domanda. di fatto una regolamentazione degli strumenti coercitivi esiste (le forze di polizia e gli eserciti sono regolamentati, internamente ed esternamente), quello che mi chiedo è come mai si debba pensare che la legittima (o legittimata, se preferite) applicazione della violenza sia una specie di momento oscuro dell'operato di un governo, una sorta di sordida cancrena della ragion di stato, quando invece è un aspetto connaturato alla convivenza civile. non si tratta di regolare chimicamente le pulsioni degli omicidi o degli stupratori, solo di rompere un tabu, un perbenismo progressista che associa erroneamente l'uso autorevole della forza al gusto autoritario della brutalità.
tutto qui.

ciao,
pasquale "cose buone dal mondo" la forgia

Anonimo ha detto...

io voto mengacci.
la solita amica

sergio ha detto...

pasqua', non ti capisco. mi dici che, in pratica, e' sbagliato cacciare fuori dalla vita democratica la violenza, perche' tanto questa rientra sempre dalla finestra; che la democrazia, pero', quando gli serve la usa eccome la violenza, gli cambia solo l'etichetta. ok, e' come dire che per te che la sostanza dei fatti non cambia: la democrazia deve scendere a patti con la violenza, tanto questa e' ineliminabile.
ma la domanda che ti pongo, allora, e' questa: come mi costruisci strumenti istituzionali e pedagogici di matrice democratica e che trattino fin nella/dalla loro genesi la violenza? nel senso che la democrazia si fonda sulla persuasione del linguaggio e che se crea isole di violenza legalizzata, allora non so proprio come farle dialogare - la persuasione esclude la violenza e viceversa. so bene che le democrazie sfruttano la lingua per poter maneggiare a mani libere la violenza, ma questo non toglie che, finche' ci saranno testi scritti e teste pensanti, si potra' rilanciare il progresso in chiave di miglioramento non violento. o, forse, tutto si gioca sull'insopprimibile radice violenta del genere umano? ma allora la questione e' un'atra, almeno credo.

sergio "it's a lemon" alloggio

pasquale la forgia ha detto...

sergio,
cerco di riprendere punto per punto le tue osservazioni.
1- "per te la sostanza dei fatti non cambia: la democrazia deve scendere a patti con la violenza, tanto questa e' ineliminabile." non mi pare sia il punto della questione, che i regimi democratici usino strumenti coercitivi è un fatto noto e assodato. non solo perché la violenza è ineliminabile, ma perché - terribile a dirsi - la violenza legittimata serve.
2- "la democrazia si fonda sulla persuasione del linguaggio e se crea isole di violenza legalizzata, allora non so proprio come farle dialogare - la persuasione esclude la violenza e viceversa." ecco il punto. un bambino direbbe "fuoco!". il mio è proprio un discorso di ridefinizione semantica. io non credo nel sillogismo "la democrazia è persuasione. la persuasione esclude la violenza. la democrazia esclude la violenza", non ci credo affatto. la democrazia è un fenomeno umano, non la voce di un glossario di scienze politiche. non sono così stupido da pensare che le cose siano di per sè indefinibili, ma penso che i concetti andrebbero ridefiniti alla luce delle loro proatiche quotidiane. se non nei vocabolari, almeno nelle teste di chi ha a cuore la sopravvivenza della propria libertà di pensiero.
3- "finche' ci saranno testi scritti e teste pensanti, si potra' rilanciare il progresso in chiave di miglioramento non violento." non ne dubito. ma prima è necessario capire qual è il ruolo che la violenza ha nella nostra attuale concezione di progresso. non credi?

un abbraccio e a presto,
ale

fosco ha detto...

"la violenza legittimata serve" ma: niente "isole di violenza legittimate".
D'accordo... quindi di "ridefinizione semantica" si tratta? niente di più?
se così fosse, i concetti dovrebbero adattarsi alla prassi, limitandone l'ipocrisia con cui usa esprimersi..

Ovvero: i concetti sarebbero superflui di fronte ad una prassi che li scavalca...
Cui prodest?

Sono un po' (molto) confuso, ho come l'impressione che tu abbia molte più carte da giocare. O sbaglio?

pasquale la forgia ha detto...

caro fosco,
confesso di non aver ben capito quello che hai scritto. in particolare non afferro il primo punto, in cui leghi le mie parole a quelle di sergio. inoltre non penso d'aver detto che i concetti sono superflui, ma che è auspicabile che si ridefiniscano (alla luce della loro prassi) non tanto nei testi (vocabolari, glossari, enciclopedie...), ma nelle teste.
correggimi se ho malinterpretato il tuo commento.
eh, sì. di carte da giocare ce ne sono ancora, ovviamente. questa sulla violenza è la prima voce del mio personale dizionario del diavolo. nelle prossime settimane parlerò d'altri usi e abusi, sempre facendo l'avvocato del diavolo, ça va sans dire.

ciao,
pasquale "am i supposed to be smart?" la forgia

sergio ha detto...

ale, faccio un po' il tignoso e il concreto: per la ridefinizione semantica, la vera questione, credo, mi sa che non c'è speranza perché le pratiche democratiche non possono sopportare dentre se stesse il peso impressionante di concetti differenti e opposti come lo sono la legalità e la violenza. a meno di mutarsi in mostri concettuali dalla doppia testa, ma questo porterebbe a una schizofrenia normativa poco proficua e parecchio strattonabile da chi sta in alto. nel senso che: come si fa, nello stesso tempo, a rendere praticabile, per esempio, il nuovo concetto di famiglia fondato sia su affetto che violenza? non so, forse ti banalizzo, o forse è la mia viscerale diffidenza nei confronti della sociologia quando cerca di farsi antropologia, ma credo che la differenza(diffidenza) fra noi sia qui: se so che ad ogni passo sociale incapperò in violenze varie più o meno riconosciute come strutturali, allora come mi muoverò senza dover, già solo a livello teorico, conteggiare vittime, feriti e mutilati?
per questo, se ridefinizione ci deve essere, preferisco aumentare la voce dei cazziati, non legalizzare la pratica dei violenti...

ciao a tutti, pure al mengacci!

pasquale la forgia ha detto...

caro tignosissimo sergio,
io sono qui per fare l'avvocato del diavolo, altrimenti la nostra discussione si ridurrebbe a "guerra brutta, botte brutte, cattivi brutti" e su questo non ci piove.
io non penso che legalità e violenza siano concetti contrapposti, come non credo che l'applicazione degli strumenti coercitivi crei un'impasse legislativa per cui lo Stato non sa più se essere garante delle libertà dell'offeso o arbitro di quelle di chi offende.
mi interessa solo marcare come nella coscienza civica (e civile) dei cittadini manchi il dato acquisito della dimensione funzionale della violenza. non sono qui per legittimare colpi di stato o giunte militari, per incoraggiare la giustizia privata o la diffusione del porto d'armi, anzi. parlo di una violenza che nelle sue manifestazioni accettabili e necessarie non prevede quelle private, criminose/criminogene o guerrafondaie, bensì solo e unicamente quelle controllate da un'autorità statale. siamo noi stessi, col nostro voto, ad affidare in toto ai nostri governi l'esercizio della violenza (e di un milione di altre cose, ça va sans dire). è questo senso di responsabilità civile che manca: non posso crogiolarmi nell'illusione che il mio governo (parlo di un governo di qualsiasi colore, intendiamoci), risponda alle esigenze della nazione solo creando ospedali e biblioteche. quando deleghiamo il potere, assegnamo a una classe dirigente l'esercizio di questo stesso potere, che fra le sue dimensioni ha anche quelle violente della repressione e della guerra. ovviamente un cittadino può dissentire dall'operato dei suoi governanti (anche quando egli stesso li ha votati, magari con sincero entusiasmo), ma non può pensare che fra i poteri a loro assegnati non ci sia anche quello dell'uso della forza.
ok, mi fermo qui perché sto diventando davvero troppo cattivo.

ciao,
pasquale "non sono cattivo, è che mi disegnano così" la forgia

Anonimo ha detto...

ok, perdonami per non averti risposto in tempo. Effettivamente il commento rispettava la mia confusione.. Che i concetti mi sembrassero superflui era in effetti una mia conclusione, ad ogni modo hai/avete risposto.

Ti/vi seguo, ma non riesco a capire dove vuoi arrivare...

pasquale la forgia ha detto...

caro fosco,
non ti preoccupare! anche i miei commenti sono molto confusi (scrivo di getto e rileggo solo dopo aver pubblicato) e - come se non bastasse - sono parecchio più lunghi dei tuoi! :)
comunque, per la tua domanda "dove vuoi arrivare?" i tempi sono prematuri. me la riservo per quando
sarò al capolinea.

un abbraccio e a presto,
pasquale "me dole le coccia" la forgia

matteo bergamelli ha detto...

vediamo se riesco a confondere ancora di più le cose;
a me pare che esistano almeno due tipi di violenza:
a) la violenza come reazione
b) la violenza calcolata, sistematizzata, come prevaricazione e/o sadismo.
Il fatto che uno stato abbia degli strumenti coercitivi (forze dell'ordine, esercito, ecc.) non lo rende necessariamente uno stato violento perché in democrazia queste strutture hanno, o dovrebbero avere, un codice di regole che ne limita l'azione violenta, che impedisca cioè che dalla difesa dell'ordine pubblico si passi ad una situazione di soppruso e prevaricazione.
Il problema mi pare quindi trovarsi d'accordo su qual'è questo limite.
Oppure se rimaniamo a livello individuale,nella sfera dei rapporti personali, reagire ad una azione violenta può essere legittimo; ma anche qui è un problema di proporzioni, perchè io posso reagire in maniera sproporzionata rispetto alla provocazione. E qui ci sarebbe da fare quindi un discorso non tanto sulla violenza, che è il fenomeno esterno, ma sulla rabbia che ha portato a quella sproporzione (oddio sembro Crepet a porta a porta).

La violenza sistematizzata, invece, è sempre condannabile perché nasce sempre da una condizione di stupidità.
La stupidità di chi non riesce a vedere oltre a se.
E qui mi fermo che ho detto anche troppo.

sergio ha detto...

proverò anch'io ad aggrovigliare un po' i fili tra fooosco, ale e frans: paquale vorrebbe un'educazione civica che porti a far diventare il cittadino un attore sociale tanto maturo e smaliziato da sapere che la violenza, prima o poi, diviene strumento politico quotidiano. e questo che piaccia o no, anche perché è sempre andata così. negarlo sarebbe falsa coscienza e non fa che produrre scollamentii tra la base e l'élite politica. la violenza diverrebbe, quindi, materia d'insegnamento, magari dalle elementari (la soglia e il limite sottolineato da frans) - e questo con tutta felicità di foucault! non so, ma forse, come sempre, il ministero della guerra è sempre dietro l'angolo in questi casi, ma lasciamo perdere. tutto ciò porterebbe all'abbandono dei concetti correnti che riguardano la violenza e le sue progenie perché la prassi li renderebbe inutili e ne richiederebbe di nuovi. il cui prodest di quest'immane ridefinizione andrebbe ascritto, secondo me, al governo che in quel momento tira le leve della zecca teorica.
ma tutto questo mi sembra davvero azzardato e parecchio pericoloso: si rischia di creare un golem che come niente sfugge e cominicia a menare a destra e a manca. naturalmente estremizzo, come sempre mi piace fare, e mi metto in bocca le parole dei tre suddetti che, infatti, saluto in ordine sparso.

p.s. auguri a fooosco per il cambio d'abiti primaverile!

p.s.s. mi piacciono un sacco questo genere di discussioni, mi ricordano quelle dei bolscevichi tra il '15 e il '17.

Anonimo ha detto...

(le discussioni tra bolscevichi!!!!
ahahah!!!!)

pasquale la forgia ha detto...

cari sergio e frans,
direi che sergio ha sintetizzato molto bene quello che ho confusamente e prolissamente cercato di dire: "far diventare il cittadino un attore sociale tanto maturo e smaliziato da sapere che la violenza, prima o poi, diviene strumento politico quotidiano. e questo che piaccia o no, anche perché è sempre andata così. negarlo sarebbe falsa coscienza e non fa che produrre scollamentii tra la base e l'élite politica". è proprio questo rischio di scollamento (rischio direi più che conclamato) fra base ed élite politica a preoccuparmi. e non credo che un simile processo di maturazione porterebbe necessariamente agli scenari tirannici che tu, sergio, prefiguri, per il semplice fatto che una società che ha (o che perlomeno auspica) una coscienza civile può essere essa stessa camera di contenimento per le derive autoritarie che entrambi temete (e che teme qualsiasi persona sana di mente). e poi, da buon bolscevico, se proprio tutto va in malora, una rivoluzione ci sta sempre bene.
vi lascio con il mio quiz finale.

domanda:
quale grande - seppur malinteso - umorista russo del novecento ha pronunciato questa battuta immortale?
"in germania non ci sarà mai una rivoluzione, perché bisognerebbe calpestare le aiuole".

la risposta è qui.

ciao,
pasquale "anche i violenti hanno un cuore" la forgia

Anonimo ha detto...

"federica ha detto...
(le discussioni tra bolscevichi!!!!
ahahah!!!!)"

ma ti rendi conto di quanto sono inutili le loro intelligenze??
adorabili intellettuali che non rincorrono le donne..

andrea "mengacci" tota

Anonimo ha detto...

veramente andre'...
basta aprire 'sto commentario....
mammamia che spipping.... !!!!

la vostra cara amica

Anonimo ha detto...

Quando celebri la violenza mettiti a disposizione per esperirla su di te.
Offriti al mondo per assumertene le necessarie pene, toglimi da questa incombenza che non m'interessa affatto e sollevane tutti coloro che di dolore e violenza ne farebbero volentieri e disumanamente a meno.
Te la doniamo, a te e a quelli che pensano abbia un senso. Non coinvolgeteci, divertitevi tra voi.
Elvirospace.

http://www.thewe.cc/contents/more/archive/atrocities.htm

Anonimo ha detto...

A parte il mio viscerale antimasochismo e la mia totale dedizione al benessere e al piacere, preferisco uno stato che monopolizzi la violenza al fine di contrastare, nel modo meno violento possibile, le espressioni di violenza, piuttosto che uno stato che la usa programmaticamente e monopolisticamente coome strumento di governo.
Sono due visioni di stato e di rapporto con la violenza molto diverse.
Una eccessiva confidenza e legittimazione della violenza come normale necessità non mi piace.
La violenza è sempre stupida e non ritengo un obiettivo interessante legittimare eincentivare la stupidità. che purtuttavia esiste.
Elvirospace e i suoi fiori.

pasquale la forgia ha detto...

caro elvio,
perdona la franchezza, ma - anche se messe in bell'italiano - le tue considerazioni sono del tutto fuori luogo e completamente prive di un pur debole appiglio a quanto ho scritto. e poi, ti prego, evita di improvvisare lo sdegno e il pathos degli oppressi. come puoi leggere nei commenti precedenti, più d'una persona ha avuto occasione di chiedermi chiarimenti, anche attaccandomi del tutto o in parte, ma senza ricorrere a strumenti retorici così frusti.
inoltre non posso evitare di farti un appunto di pura etichetta, una cosa che magari potrà sembrarti sciocca. sai bene che in questo blog si sono affrontati temi molto pesanti, utilizzando anche parole e immagini molto franche (cosa che ci è valso un mezzo blocco per l'idiota sospetto di contenuti pedopornografici). sono il primo a sostenere la necessità di una lingua che batta proprio dove il dente duole, ma in questo caso ritengo opportuno avvisare che il link postato nel tuo primo commento rimanda a immagini che un lettore di passaggio potrebbe a ragione trovare cruente, decidendo - se preavvisato a dovere - di non vederle. è chiaro che non mi permetterò di cancellare il link; anzi, è giusto che un lettore degno di questo nome guardi e voglia guardare, capisca e voglia capire.
quello che mi infastidisce è che nella tua presunzione pensi che io ignori o - peggio ancora - consideri insignificanti quelle immagini. trovo questo tuo atteggiamento di una superbia irritante e ti prego di risparmiarmi i tuoi discutibili furori educativi.
e, soprattutto, piantala con questo "noi".
ciao,
ale