29 febbraio, 2008

Noblesse oblige

Lo so, lo so... è puro autocompiacimento da sfigati, ma non posso farne a meno. Copio-incollo e ri-posto la bellissima (e generosa) recensione che il sostituto ha regalato al nostro miserabile libretto. Se qualcuno ha qualcosa da ridire, è pregato di controbilanciare le lodi del nostro anonimo recensore inviandoci delle stroncature altrettanto partecipi e documentate. Noi siamo qui per raccogliere e pubblicare.
Per il momento, buona lettura.

La strata in fonto alla villa



E' in libreria gli INTRUSI (coconino press), erano vent'anni che lo aspettavo.


1980, in una casa sull'adriatico meridionale un ragazzino rovista sotto al comodino di suo cugino più grande. Cerca emozioni forti, riviste con curve e peli femminili, numeri dell'Espresso con strani ribelli con passamontagna e pistola, fumetti leggeri e colorati ma pieni di cazzi, fighe, e mostruose facce di politici. Quel comodino è la caverna di Alì Babà, un pozzo inesauribile di tutto ciò che è emozionante e proibito, proibitissimo e infatti i fogli ingialliti che le sue mani cercano più avidamente si chiamano, non a caso, IL MALE.
Aprendo una di queste riviste dalle piegature strane e scomode vede improvvisamente un disegno che gli salta addosso per la familiarità di ciò che descrive. E' di un autore che ha imparato a riconoscere ed amare, da subito familiare perchè il suo segno è simile a quello dei fumetti disney con cui gli hanno insegnato a leggere. Ma quei guanti gialli ora stringono pistole e siringhe, quei corpi gommosi vibrano sensualmente ed entrano in risonanza con qualcosa che ormai da mesi lo prende allo stomaco e che non sa spiegare. Forse vorrebbe infilarsi un passamontagna e sparare, forse leccare quelle curve che finiscono nella radura, finirà per prendere in mano la cosa che somiglia di più al suo piccolo cazzo e comincerà a disegnare.
Ma quel disegno che gli è saltato addosso è diverso dagli altri perchè non mostra Paperopoli nè Topolinia, nè il deserto dell'Arizona nè le strade di San Francisco. Di strada ne mostra una ed una di quelle che conosce bene, calda, deserta, con le sue case basse e brutte, i suoi alberelli ridicoli più simili a scope rovesciate, i suoi bar e i suoi tabacchi tristi e appesi come le loro insegne a bandiera.
La presenza di un carrarmato sovietico non toglie realismo alla scena. Se siete cresciuti in provincia, avrete sentito anche voi il pomeriggio un carrarmato silenzioso aggirarsi e premervi sullo stomaco.
La carta ingiallita sembra essersi animata e aver abbracciato in un cerchio il ragazzino, quello che è davanti ai suoi occhi è anche quello che c'è alle sue spalle e attorno a lui, lo specchio si è rotto, il fumetto è entrato nella sua vita.
Quel vecchio pazzo di Scòzzari da qualche parte ha sostenuto che Pazienza ha rivoluzionato il fumetto perchè (cito a -incerta-memoria) con lui sono entrati nelle tavole i vespini che impennano, gli zaini, i lavandini con i piatti a mollo.
Anch'io se pensando all'arte del fuorisede di San Severo mi incanto soprattutto davanti al fotogramma di un braccio in tensione che regge una busta della spesa, all'alito di vapore di due studenti che bigiano la scuola in un parco pubblico d'inverno (a quello che -solo per intenderci- chiamerò REALISMO) è forse perchè quel pomeriggio mi insegnò che qualsiasi mondo, anche il mio mondo, poteva essere mostrato e raccontato.
Il "realismo magico" di Pazienza, che lo assolve e riscatta definitivamente da ogni possibile stonatura da "posa" maledettistica, resta il nucleo e la lezione più forte della sua arte che ha seminato frutti meravigliosi che vanno ben oltre le imbarazzanti schiere di imitatori.
Pazienza definì il suo essere pugliese fatto da una meridionalità alla Mohammed Alì, orgogliosa e rissosa e forse senza volerlo ha reso possibile una generazione di Black Panthers del fumetto pugliese (che da qualche giorno in libreria ve le suonano di santa ragione) a cui ha soprattutto insegnato che anche "la villa in fonto alla strata" meritava di essere raccontata senza sentirsi obbligati a scappare o restare.

Grafite al neon.
(Francesco Chiacchio, Miracolo a Polignano)

Tornando in nave dalla Grecia, terra di iceberg di roccia nera, le coste della Puglia sembrano un foglio di carta che galleggia sul mare. Quando il vacanziero scorge in lontananza lo zoccolo di scoglio di Polignano si ricorda che su quel foglio ci vivono degli umani che ci scrivono su, da secoli, le stesse frasi. In questa gita grafica per la provincia barese l’intruso fiorentino Chiacchio non si è fatto distrarre dall’azzurro troppo azzurro del mare e del cielo raccontandoci a matite morbide una Polignano dura e illuminata dai neon. Spazi marini e interni bui si alternano confondendosi e confondendo tempi e luoghi, caverne platoniche e jazzisti, filosofi greci e contrabbandieri. Che Francesco Chiacchio sia un maestro della narrazione e delle matite è ormai chiaro, anzi scuro.

Chapeau!
(Alessandro Tota, Fratelli)

Se il compito di un artista è quello di mettere e mettersi a nudo Alessandro Tota è destinato a rimpiazzare presto nel cuore dei francesi (popolo che attualmente lo ospita) il ricordo di Rosa Fumetto nella nobile arte dello spogliarello.
Con una padronanza musicale del ritmo, dei silenzi e delle pause che fa paura Tota ci porta in giro per una Bari sbiancata dalla luce e tra i casi suoi più intimi all’ombra di una tapparella abbassata. Tra interni ieratici di oggetti e umani silenziosi degni di Vermeer e sciatterie art brut Tota snoda una via crucis quotidiana alla fine della quale ci si sente più affranti della povera mamma di questi due mascalzoni ma con la consolazione di aver scoperto una stella internazionale della poesia a fumetti dei prossimi anni.

P.S. da una città nelle cui case si appendono i quadri di Piccinni e Franz Borghese non si può che scappare.

Patatine con sorpresa.
(Roberto La Forgia, Patatine)


Quelli di Roberto La Forgia sono bambini cosmici di quelli che trovereste a roteare nella loro placenta ai confini spazio-temporali dell’universo in un film di Kubrick. Ma a differenza loro questi enfants terribles di Capurso non resterebbero in attesa di ricongiungere l’anello del tempo ma darebbero un calcio nelle palle all’ignaro astronauta e fuggirebbero sghignazzando. Patatine è una giostra impazzita su cui si può salire da ogni vignetta ma è praticamente impossibile scendere. Si fugge, si pedala, ci si nasconde e alla fine si è stanchi ma felici. Se Roberto la Forgia fosse negli States a quest’ora i suoi characters sarebbero sulle felpe e i cappellini di tutti i teenagers americani e la Warner starebbe producendo il loro secondo lungometraggio. Per fortuna questo non accade perché altrimenti Roberto spenderebbe tutto in patatine o qualsiasi altra sostanza che colmi momentaneamente il pozzo senza fondo della sua fantasia.


Il tema del momento
(ce n'est qu'un début?)
(Pasquale La Forgia, La Vita Vera)

Quando la mano morta del fumetto esce dal coma sgranchisce le falangi in giochi grafici di prestidigitazione ma tira anche cazzotti.
Con uno stile staminale che vagabonda tra il Pericoli dei ’70, Miguel Paiva, Glaser e l’osservazione dal vero Pasquale La Forgia esordisce sulla scena del fumetto italiano con un colpo di pistola. E’ un colpo che però non uccide ma, al contrario, prova a resuscitare un nobile “genere” narrativo sia letterario che cinematografico ma che negli anni ’70-‘80 trovò nel fumetto, per flessibilità, rapidità e popolarità dello strumento (marxianamente: per la povertà dei mezzi di produzione), il suo spazio ideale.
Per la verità si trattò di una tendenza soprattutto francese (Lauzier e Bretecher) e che in Italia rappresentarono brevemente (tra i pochi) il citato Pericoli con Pirella e il fiacco Staino.
Parlo della short -story di critica politica e di costume (come separarle?), critica sempre “a tesi” e bozzettistica ma proprio per questo capace di penetrazione storica e psicologica acuminata come il caso del bel debutto di Pasquale La Forgia che lascia ben sperare anche in una riscossa del genere.
Per tutti i personaggi principali de La Vita Vera (burattinai e burattini, biologi e criceti mediatici) la “realtà” può essere una merce come un’altra da simulare o un mito impalpabile da inseguire ma entrambi contribuiscono ad allargare il solco tra vita e la sua rappresentazione. Inevitabilmente, ineluttabilmente. Sullo sfondo il fossile preistorico dell’uomo di Altamura da milioni di anni guarda il tutto con il suo inevitabile sorriso scarnificato.

I fiorellini del male
(Amanda Vähämäki, La creatura )

Tra gli autori la finlandese Amanda Vähämäki - sicuramente l’intrusa più aliena in missione sul pianeta Puglia- stupisce per la capacità di penetrazione nel cuore opprimente di un’adolescenza in provincia. La porta d’ingresso che sceglie è quella di far affondare l’occhio negli arabeschi marcescenti del grembiule di una nonna e delle sue rughe, nel marmo maculato dei pavimenti, nel floreale assurdo di tovaglie di plastica che riflettono il caleidoscopio chiassoso di un manga alla tv. E’ un tinello di una psichedelia brulicante e paludosa dove si invischiano tre generazioni di donne e da cui la "creatura" -che, zaino in spalla, danza tra linee invisibili e muri veri- speriamo fuggirà. Pagine da cui si esce unti di una tristezza che non va via con una doccia.



Potrei scrivere ancora della superba eleganza degli interludi marini di Cattani, dei potenti ex-voto grafici di Fior, Nanni, Bruno, Corona (cosa aggiungere al miracolo di S.Rocco che, apparendo in un rave, salva con un coro d'angeli il dj che si è dimenticato i cd? ) ma fate prima a correre a comprare Gli Intrusi e assicurarvi così un posto in prima fila per assistere al futuro del fumetto. A tutto quello che può ancora essere, dire e fare questa arte che, per dirla con ElTofo, è di retroguardia e insieme d’avanguardia.
Per gustare l’opera di questi giovani maestri di questa giovane arte e poter dire “io c’ero”, anche se da Intruso.

1 commento:

andrea barbieri ha detto...

L'avevo già detto, Gli intrusi è un libro davvero molto bello.
Un'antologia che fa tranquillamente il mazzo a quello che si pubblica nella narrativa non disegnata.
E anche questa rece è molto molto bella.
Non so che dire, se non che sono stupito, è difficile oggi trovare cose così vive (non uso la parola 'qualità' che mi pare da linguaggio aziendale).